Premio Celeste aveva invitato gli artisti a presentare opere a Expectations, un’idea curatoriale suggerita dalla critica Manon Slome.

Le opere sono state selezionate da Manon Slome e Julian Navarro.

"TEATRO"anno 2009,olio su tela,130 cm x 80 cm è stato selezionato per il catalogo EXPECTATIONS.

"TEATRO",anno 2009,olio su tela,130 cm x 80 cm
"TEATRO",anno 2009,olio su tela,130 cm x 80 cm

ARTICOLO DI VINCENZO GAMBARDELLA 

 

“Lo spirito purificato dai numeri del tempio, / Il pensiero riacciuffato appena dalla carne, e già, / Già il vecchio e sordo rumore invernale della vita / Sale dal freddo cuore della terra, sale incontro al mio.” O.V. de L. Milosz

 

 A Napoli, nello studio-casa di Barbara Karwowska, tutto è come una ballata, come un mandolino che suona le corde in levare. Non faccio in tempo a dire ah che l’accento sulla nota cambia di nuovo e di nuovo, e così pure la scena. La realtà assomiglia a un sogno, non riesco a starle dietro, tale è la velocità che imprime alla mia vita, che poi è la vita di tutti. In un paio di ore raggiungo Ravello, Costiera Amalfitana, appena esco sulla terrazza della mia casa, due uccelli si staccano da un albero e volano via; due imbarcazioni in mare procedono lente in direzioni opposte; due auto in fila indiana scorrono silenziose sull’asfalto; due vespisti abbracciati, con i caschi variopinti, sfilano sulla strada tortuosa, parlando ad alta voce. Il numero 2 sembra essere il numero principale oggi, ma non sto a dilungarmi sul suo simbolismo, dico, invece, che è una serata ideale per scrivere, scrivere di Barbara Karwowska. E torno con la memoria a Napoli, nella casa-studio di Barbara, piena di quadri, ritorno coi pensieri alle mani di lei, che immagino mentre dipingono e che ora sono quelle che mi offrono il cestino coi numeri della tombola, per farmi partecipare al suo progetto pittorico dei Tombolati. 

Tiro fuori il numero 39, ‘a fune ‘n canna (il cappio al collo), e lo rifiuto; poi il 23, lo scemo, e rifiuto anche quello; quindi il 35, l’aucielluzzo (l’uccellino), e mi convince. Ebbene sarò un piccolo uccello che vola lontano, con la mente fin dove può arrivare la fantasia. Pensando ai miei rifiuti rido, forse in un’altra vita ho fatto il peggio del peggio, tanto da essermi meritato il tormento ultimo del capestro, o forse, nelle mie vite trapassate, ho bighellonato fra le case di un paese cantando a squarciagola contro le finestre, gridando come uno che nemmeno sa se è nato o che ci sta a fare su questa terra. Infine ecco quello che sono, e lo decido io, di mia volontà: sono un aucielluzzo che tenta l’impresa del volo, il volo che gli farà sfidare il desiderio di accarezzare le nuvole, o l’azzurro immenso del cielo, grande quanto la libertà. E poi, poi che cosa sarò?, sarò ancora capace di essere all’altezza del mio desiderio?, ancora e ancora proiettato a immaginarmi di vivere, finalmente in grado di toccare l’amore, l’amore in cui ho sempre creduto e che non ho mai vissuto.  

Allora il destino prevede una scelta, penso io, non siamo pienamente determinati dal caso. Il destino si sceglie?, continuo a pensare, o la scelta è nel destino che ti sceglie? Il discorso si fa impegnativo. E’ stato così fin dall’inizio, da quando Dio ha consegnato i numeri a Mosè, affinché li trasmettesse all’uomo, per rivelare la Sua vicinanza a noi. Dio entra anche nei numeri, possiamo dire, e così pure si comporta la Storia ma con minore sintonia con noi e col mondo. Ad esempio il numero 1 della Smorfia una volta designava Napoli, e adesso è l’Italia. E’ il grande tema del destino di Napoli, Napoli che è diventata l’Italia. Anch’io, dunque, seguendo questo ragionamento, forse sono stato un appeso, poi uno scemo, e ora sono un volatile, con l’attrazione per la libertà. Un Icaro che desidera le stelle, il cielo, la luna, ma presto il sole scioglie la cera che fissa le mie ali e mi ritrovo precipitato in mare, nel mio destino di creatura umana.

Se siamo determinati dal caso che cos’è il destino?, mi viene da dire. In un bel libro dello scrittore americano Paul Auster “L’invenzione della solitudine”, l’autore dice che tutto è casualità, anche se, a un certo punto, afferma che il destino dell’uomo consiste nel salvare il padre, e lo dice rifacendosi alla vicenda di Pinocchio e della balena, che aveva nel suo ventre il vecchio Geppetto.

C’è sempre qualcuno che ci ha preceduto e, allo stesso tempo, qualcuno che verrà dopo di noi, noi che stiamo qui a interpretare il mondo, il quale è in costante mutamento e ristagno e accumulo e varietà e significato. Ma noi saremo capaci di mantenere alta la nostra aspirazione? I Tombolati sono dei desideranti, ecco il senso segreto che vogliono trasmetterci. Ponendosi allo sguardo degli altri, loro stessi guardano attraverso il numero, come fosse una lente da cui contemplare noi, la vita intera che diventa grande nel suo destino di cifra, ma incapace di legarci, in quanto siamo rimasti indipendenti da essa, che forse rappresenta il motivo per cui spesso i Tombolati sorridono, o appaiono sereni, perché il mondo voleva fare di loro un’altra cosa e non c’è riuscito.

La questione è tutta lì, nell’io, nell’inconscio che si nasconde dietro una cifra; un grande io del divenire, che aspira ancora a sperare, uomini e donne che aspirano ancora a qualcosa di vero, in grado di amarli fino in fondo. “Niente è da ammirare, tranne l’anima di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di più grande”, scriveva Francesco Petrarca.

I Tombolati siamo noi e sono i segnati, ognuno con la sua grande cifra raffigurata in alto, che domina, caratterizza, identifica e lega a un destino di desiderio (di chi o di che cosa?)... Guardano lo spettatore e ricevono il nostro sguardo, pur essendo soltanto dipinti. E’ certo che la pittrice li ha posti davanti a noi nella necessità di essere ammirati, opera d’arte. Viene da chiedersi cosa accade quando nessuno li guarda, giacché vivono solo nell’attimo della nostra visione, della conoscenza che si opera in noi guardandoli e riconoscendoli. Vivono nel desiderio di essere guardati, di diventare grazia del vedere. In greco vedere e conoscere hanno la stessa radice verbale.

Mentre la scena continua a cambiare e io sono a Milano, una mia amica mi racconta del suo amore, seduta al tavolino di un bar, mi dice che il suo fidanzato le telefonava e le parlava delle stelle, per molto tempo le ha raccontato di stelle e di astronomia, tanto che lei si chiedeva perché non la invitasse a uscire. Ancora adesso è stupita, se ne chiede il motivo. Ha dovuto negarsi per spingere il fidanzato a decidersi, e a proporle di passare una serata insieme. Eppure tutto lascia intendere che egli la desiderava fin dall’inizio, fin da quelle prime telefonate che risultavano impacciate proprio perché dicevano inconsciamente il suo desiderio (desiderium, parola formata dal latino de, in accezione negativa=senza, e sidera=stella, dal latino sidus. Cioè, letteramente: senza stelle, o smettere di guardare le stelle. Gli antichi le guardavano per conoscere il destino, a scopo augurale, è da lì che deriva tutto. Mai vista una coincidenza così vertiginosa fra due amanti. Mirabile coincidenza!, si desidera ciò che ci manca).

Vorrei avere uno sportellino che si apre davanti al cuore, fatto di carne, che una volta aperto permetta di misurare l’intensità del proprio sentire, osservando un termometro con le tacche della scala graduata e il mercurio che corre dentro un tubicino di vetro, visibile, in modo da riconoscere la febbre del nostro amore, e quanti di noi non sono amati, o vivono un’intera vita senza mai essere amati, sentendosi finanche dire che in fondo hanno tutto. Probabilmente, questa, è la maggior parte degli uomini. Solo Gesù riesce a sfamarci, per dire quel di più che occorre ad amare, il di più che manca a ognuno di noi. 

Anche i non amati sono segnati. Credo che essi sono l’origine che ha dato vita al progetto pittorico di Barbara Karwowska, i segnati dal non amore, che desiderano l’opposto, in ricchezza ed eccedenza, nel punto più vivo che ci tocca, nel di più che occorre a vivere, scoprendo finalmente che cosa siamo e di che cosa siamo fatti (inclusa la fortuna). Sono persone vive i ritratti di Barbara, persone vere, che esistono. Si vede bene dai visi che hanno, dalle espressioni che mostrano; manifestano la vivacità e l’esperienza del confronto, quasi che qualcuno gli stesse chiedendo: “Ma sei stato sempre così?”, e loro rispondessero: “Sì, sempre!”. Che è quel desiderio di vita che si compie solo attraverso i grandi sensibili, i volti che continua a dipingere Barbara Karwowska, anche senza pennelli, nel guardare la gente passare in strada, e notandola, annotandola a mente nel suo sguardo di pittrice, i volti che non smette di amare. 

Ma allora dov’è la fortuna?, qualcuno potrebbe chiedersi, in che cosa consiste? E’ nell’artista-testimone che rimette mano a un nostro sguardo, rivive la nostra fisionomia, un nostro accenno, una nostra caratteristica umana. Riconsiderati nello spazio pittorico che oggi non è più testimonianza di niente, oggi, per lo più, l’arte deve corrispondere ad assenza di testimoni, l’arte si serve d’ingredienti, di ricette per conquistare il pubblico, e non va oltre questo. La fortuna, dunque, è nel sottrarsi al buio dell’esistenza, nello stagliarsi delle figure sul nero buio dello sfondo (buio in cui si può immergere un braccio, ma non caravaggesco, quindi realistico, o buio dello spazio reale). Nei Tombolati lo sfondo è l’oscurità da cui si proviene, buio dell’io perduto, buio senza identità, buio metafisico, della coscienza perduta, oltraggiata, addolorata, sfinita dalla perdita dei desideri, sebbene non ancora sconfitta. “Lui che cos’è?”, chiede qualcuno, volendo interrogare la Smorfia napoletana. Continua il dialogo fra spettatore, autore, ritratto e numero, giacché quest’ultimo si può dire che è un personaggio del quadro, e va colta una relazione fra esso e il ritratto, che è fantastica e ironica insieme, e quanto più è fantastica, tanto più è ironica. La rotondità in cui è racchiusa la cifra, rimanda a un’aureola, una sorta di santità del personaggio, che Barbara aveva già dipinto anni fa, in ritratti aureolati da un centrino, l’oggetto ricamato che si pone sui mobili, per appoggiarvi vasi e altro. Anche quelli nascevano da un azzardo pittorico, o dal ricordo affettuoso del lavoro che faceva la nonna della pittrice. Viene da sorridere, dunque, pensando a quello che indica, alla tradizione del gioco a cui si riferisce, e non solo; Napoli è la città che sta dietro a tutto, la tematica, il cuore, il soggetto senza fine e irriducibile.  

 

 Karwowska, “fragile guerriera” dell’arte in un’antologica a Castel dell’Ovo

 

 

Una guerriera. Fragile e malinconica quanto tenace. E determinata. Una pacifica e visionaria “combattente” dell’arte, armata solo di pennelli e sensibilità empatica che le fanno intercettare silenziosamente l’anima di persone, ambienti e cose riverberati nel simbolismo cromatico (e non solo) dei suoi dipinti dalla personalissima cifra stilistica, ormai riconoscibile come un brand estetico. Per venticinque anni, l’artista di Danzica Barbara Karwowska, classe 1970, polacca di nascita ma napoletana d’adozione, ha ritratto volti, emblemi e atmosfere della “città porosa” dove è giunta per caso, nel 1992, e non se ne è più andata. Qui Barbara ha infatti trovato una potente ispirazione per il suo talento, attraverso una fascinazione feconda che ha impresso una svolta creativa al suo immaginario artistico formatosi inizialmente all’Istituto d’arte di Orlowo, in Polonia, e poi trasformatosi progressivamente, a contatto costante con il caleidoscopio partenopeo.

 

A ripercorrere ora l’evoluzione della poetica dell’artista – che ha avuto anche esperienze teatrali con il gruppo Malatheatre di Ludovica Rambelli, ritratto in diverse sue tele – è un’antologica opportunamente curata dalla storica dell’arte Fedela Procacciniin collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli ed esposta, fino al 23 gennaio, nella Sala delle Terrazze a Castel dell’Ovo (ingresso libero, dal lunedì al sabato ore 9-19, domenica ore 9-14), con il patrocinio del Consolato onorario della Repubblica di Polonia guidato dal console Dario dal Verme, presente al vernissage con l’artista e la curatrice. In mostra, una selezione di una trentina delle opere più significative del percorso artistico di Barbara Karwowska dal 1991 al 2017: dai ritratti bianconeri a matita, dal vivo, di protagonisti del microcosmo familiare dell’autrice («Uomo seduto», «Ritratto di nonna Henryka») ai primi autoritratti dell’artista, dominati dal blu oltremare: come in un grande olio su tela verticale, di emblematica intensità, dove la figura longilinea di Karwowska, seduta e vestita con un abito primonovecentesco, i grandi occhi blu nel volto scavato rivolti allo spettatore, le mani inerti e lunghe come artigli, campeggia su uno sfondo di gotica e misteriosa cupezza, percorso da segni come graffi: «Ero appena arrivata a Napoli – rivela l’artista – e pensavo che questi graffi, fatti con i chiodi, fossero semplicemente una ricerca estetica, un mio espediente per cercare di rendere i riflessi. Solo dopo molti anni, ho compreso che quei graffi in realtà corrispondevano ad alcune ferite che mi portavo dentro…».

 

Segni esistenziali superati dal colore dell’energia e della passione, il rosso: che - con le sue infinite declinazioni - Karwowska inizia a utilizzare nelle opere successive schiarendo via via la composizione cromatica dei suoi cicli pittorici più recenti: come – per citare solo alcuni esempi - l’ultimo, velato di sottile ironia: quello dei «Tombolati», ritratti di personalità a lei vicine raffigurate mentre mostrano il numero della smorfia napoletana pescato a sorte nel cestino in vimini (e riproposto alle spalle della persona ritratta, suggerisce Emilia Sensale, come fosse un’aureola); o come quello perturbante dei Pinocchi in conflitto, o, ancora, quello degli espressivi «Ritratti di Napoli» che raffigurano molti protagonisti della scena culturale partenopea, e non solo (da Jean-Noel Schifano a Roberto De Simone, da Eugenio Viola fino aPaolo Stampa, dove, nel grande ed evocativo dipinto ad olio su tela «Immerso nei pensieri», secondo la curatrice di «impostazione rinascimentale», la stesura cromatica, come la barchetta bianca di carta su un tavolo-abisso scuro, è ancora fredda, percorsa da blu e neri a simboleggiare un viaggio profondo nell’inconscio.

 

Tutti, comunque, costellati in vario modo da alcune ossessioni iconiche dell’artista: centrini di merletto, piume, corone stilizzate, geroglifici decorativi e segni zodiacali, angeli e ombre: a conferire atmosfere di mistero e fiabesco incanto a tele spesso concepite come suggestivi polittici dagli echi klimtiani («Il mio angelo custode») o composti, a riempire un’unica sala, su grandi tele-paravento («Il pizzo»): come l’opera «Il Rosario» del 1999 (27 tele dipinte ad olio, con due ante di cartone dipinto e colorato, costate mesi di lavoro), parte integrante di una mostra personale del 2002 di Barbara Karwowska alla Colombaia di Visconti ad Ischia e donata con generosità dall’artista allaFondazione Luchino Visconti in omaggio al grande regista. Ma dell’opera che doveva restare permanente nel sito, purtroppo ora chiuso, si è misteriosamente persa ogni traccia. Un giallo, con grande rammarico di Karwowska che coglie l’occasione della sua nuova antologica per rilanciare il suo appello al ritrovamento del suo dono.

 

Non mancano, nella selezione a Castel dell’Ovo, anche inquietanti, espressionistici ritratti d’ambiente («Circo esistenziale», «A Napoli la notte è magica», «Mistero. Lanificio 25»), accanto a ritratti (e autoritratti) portatori di precisi messaggi “al femminile” tesi a ribaltare stereotipi e luoghi comuni: come nelle figure zoomorfe dei segni zodiacali, in provocatoria polemica con l’uso dei corpi femminili nei calendari, o come nei dipinti «Fragile guerriera» e «Fragile guerriera a riposo», ispirati da una danzatrice/performer conosciuta da Karwowska a Parigi ed efficacemente raffigurata come una coraggiosa quanto eterea combattente, che nella sua pausa dalla lotta prefigura – quasi come una sacra crocifissione – un’ascensione al cielo liberatoria delle paure, dei dolori e delle violenze terrene. Perché, in fondo, «è la figura umana al centro della scena e dello sguardo dell’artista, immersa in un’ambientazione che si congeda dal reale per giungere ad un piano metaforico, uno degli elementi più cari alla Karwowska», spiega la curatrice della mostra Fedela Procaccini: «Gli spettacoli, il teatro, l’oroscopo, l’incantesimo fiabesco – continua - sono i temi che colpiscono per immediatezza e innata sensibilità. Grazie al ritratto, genere predominante nella sua produzione, l’artista indaga sé stessa e gli altri, prosegue in un’indagine introspettiva, conferendo, di volta in volta, significati simbolici ai dipinti».

 

Di qui l’intento dell’antologica: «Raccontare – conclude Procaccini - anche attraverso tele raramente esposte, il percorso artistico di una donna che ha scelto l’arte come principale veicolo comunicativo dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Indagare, scavare, raggiungere la bellezza grazie ai pennelli, ai colori e a quell’armonia che ricerchiamo in continuazione è il sentimento che viene trasferito all’osservatore dalle opere di Barbara Karwowska». Non a caso, il nuovo impegno dell’artista è ispirato dalla lettura (folgorante) del Cunto de li Cunti diGiambattista Basile, di cui vi è un esemplare in mostra: «…c’era una volta il re di Vallepelosa che aveva una figlia chiamata Zoza», dove Karwowska ritrae significativamente se stessa nei panni della principessa triste della fiaba e il marito Guido nei panni dell’amorevole padre, il Re di Valle Pelosa, che tenta di farla sorridere: «Ho scoperto per caso, grazie all’amico Ignazio Cannavale, i racconti di Basile che mi hanno letteralmente stregata – spiega l’artista -. La loro potenza immaginifica e realistica supera di gran lunga quella delle fiabe nordiche: non riuscivo a staccarmene, e già da una prima lettura sono nate nella mia mente alcune immagini. Di qui l’idea di rappresentare prossimamente, in un ciclo, il Cunto de li Cunti». Un giusto connubio, per una pittura fortemente narrat(t)tiva come quella di Barbara Karwowska.

   

 

di Donatella Trotta

(13 gennaio 2018,IL MATTINO)

 

 

 

 

 

"L'Espressionismo psicologico di Barbara Karwowska"

 

La pittura di Barbara Karwowska rivela nelle sue forme,cosi come nei suoi
contenuti,una connotazione altamente espressiva,non priva di una intensa
introspezione psicologica.La stesura cromatica plasma le figure dipinte,le
avvolge creandogli attorno uno spazio,seppur "indefinito",caldo e accogliente.
L'intimità dei pensieri viene mostrata senza vergogna.Le opere,in particolare
il ciclo humans,sono la chiara manifestazione di un'arte tesa a svelare qualsiasi
sensazione o emozione.I soggetti rappresentati nei lavori Barbara&Guido,Giulia,
Gruppo teatrale e Ritratto di Lucio appartengono alla sfera degli affetti dell'artista.
Essi sono immersi in un vuoto infinito;sono assorti,perduti nei meandri più reconditi
della loro psiche.
Le fisionomie raffigurate rafforzano la profondità dei pensieri.I volti dipinti seguono
il principio sequenziale delle verità nascoste,cosi come facevano i naturalisti italiani
nel Seicento e gli espressionisti tedeschi nel Novecento.Ad essi si accompagna,
poi,la decisa carica tonale.Di grande rilievo è la luce delle opere,la cui vitalità è
da ricercare nell'esperienza "mediterranea" dell'autrice,quale completamento della
sua formazione est-europea.Non manca nei lavori della Karwowska la matrice simbolista,
a tratti onirica,apportatrice di nuovi modelli iconografici,già insiti nei dipinti La Magia
dei Ricordi ed Immerso nei pensieri.

(Luigi Fusco)

   

 

                                                              

                       "La fonte del ritmo"


Il tempo lo dà Giuseppe Chiari,con il suo spartito.Il tempo è il ritmo,ma è anche il passaggio di lune intercorso
da quel lontano 1988,l'anno in cui il compianto artista fiorentino realizzava per lo Studio Oggetto di Massimo De
Simone la prima grafica contenuta in questa cartella.
Formidabili quelli anni Ottanta,aperti dalla Transavanguardia e chiusi dal Neoconcettuale.In un decennio la massima affermazione della pittura e la sua stessa negazione.Anni di contraddizioni e di massimi splendori,di grandi mostre e di crescente proselitismo.Proprio in quegli anni lo Studio Oggetto,transitato da Caserta a Milano,coglieva i massimi risultati possibili,affermandosi a livello internazionale.
Si "RipArte"ancora una volta da un artista di rilievo storico.La prima volta con Angeli,ora con Chiari,affinché sia una partenza lanciata.
Eccola la fonte del ritmo,quello spartito policromo dove il pentagramma e le note sono unità linguistiche,capaci di vivere e di far vivere emozioni a colori.Ma il ritmo viene anche dall'incontro di culture,di lingue diverse parlate all'unisono,con la grande coralità che è l'universalità del linguaggio artistico.
Fluxus era proprio un bel nome.
"La fuente del ritmo" non trova soste e ha sempre una scia di faville.Sono i lavori degli artisti di generazioni successive a quella di Chiari,realizzati appositamente per questa cartella nel corso dell'anno.
Non c'e la musica negli occhi della splendida bimba rom fotografata da Maurizio Cimino,ma c'e comunque il ritmo del suo cuore.Ti prende la mano con  il sorriso e ti dice rassicurante"Sono un angelo".E una favola manga al contrario,un idillio sociale.
La superficie è tutta una scansione,un equilibrio tra geometria,colori e figure.La Napoli crocevia di culture di Barbara Karwowska sarà anche quella melodica,cara al Pulcinella danzante,ma è soprattutto quella multietnica,dalla parlata meticcia.E quella figura femminile che balla in primo piano è l'emblema di una musica della terra che avvolge i nostri corpi.
Alessandro Manna affida a uno strumento musicale,il contrabbasso,il compito di sintetizzare in un unico scatto il ritmo,la velocità e l'ironia.Sul piano armonico si aprono le due fessure dette "effe".E ricordano tanto quelle impresse sul corpo di Kiki in "Violon d'Ingres"da Man Ray.Rifare il verso maestro dadaista è un raffinato gioco di rimandi,citazioni e incursioni nella contemporaneità.Il contrabbasso suona per hobby,per destino,per naturale vocazione,socialmente utile.
E il Belvedere di San Leucio quel palazzo appena accennato da Battista Marello,è il monumento borbonico che ha visto proprio negli anni Ottanta i grandi eventi artistici proposti da Massimo De Simone.E il Belvedere non potrà più dimenticare la gioia e la musica degli accadimenti passati.Ecco perché,a imperitura memoria,compare sulla facciata la scritta "Studio Oggetto".E una luce subito s'accende.
E il graffito di un paesaggio urbano quello dipinto da Ali Nasserddine,ricordano il suo Libano.E terra lontana,travagliata,è terra che soffre.Le case hanno un loro ritmo,un loro reiterarsi modulare.E poi il cielo,tanto cielo,tutto il cielo che si può sognare.Liberi,liberi,verrebbe da dire.Ma questa è un'altra musica!

                                                                                                                                                                     Enzo Battarra

 

 

 

Un'entusiasmo di vita unito ad un'intreccio di personali ricordi,cosi si può definire la mostra personale dell'artista polacca Barbara Karwowska
dal titolo "Entrando nella magia del rosso",che sottolinea con forza i suoi affetti in chiave squisitamente simbolista.
Colore da sempre impiegato nei millenni per sottolineare la linfa vitale umana,basti rammentare ad esempio che ancor oggi presso i Lacota(Sioux)
il colore rosso viene visto,considerato quale monito da seguire per una coretta vita piena di valori evirtù.
I dipinti di Barbara Karwowska appaiono come un sussegguirsi di immagini:in un'intimismo sviscerale e femminile sono difatti scanditi,impreziositi
dalla meticolosa pennellata dell'artista(si vedono i particolari dalla piuma,del corvo).
Molto suggestivo e il dipinto dei nonni indicati con l'aureola e le ali scure:forse pensieri contrastanti di affetti ormai lontani,ma veri che con generosità,
maturità pittorica,aquistano appunto una valenza universale.
Singolare è anche l'autoritratto dell'artista ma ancor più in "Napoli crocevia di culture"che sottolinea anche la sua personale aquisizione partenopea
integrando quasi in se stessa uno dei simboli cari a questa meravigliosa città overo pulcinella.
Barbara Karwowska e una potentosa e suggestiva artista che sa valorizzare appieno il suo percorso interiore e terreno.

 

Valleria S.Lombardi
(Dott.ssa storia dell'arte contemporanea)

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